Musica ed Educazione: un gioco di emozioni!

“Il godimento della musica forma l’armonia interiore” Confucio
Nasce per mero caso un’esperienza che lascia un segno profondo nel mio percorso professionale, ma soprattutto nel mio percorso di vita.
L’associazione SERMIG (Servizio Missionario Giovani), mesi orsono mi offrì di partecipare come volontaria ad un progetto intitolato “Musicon” a cui erano chiamati bambini e ragazzi.
Obiettivo del medesimo progetto era puntare all’integrazione tra ragazzi normodotati e…quelli che ahimè, la società definisce diversamente-abili.
Bambini e Musica, un connubio assolutamente invitante per un pedagogista…così ha avuto inizio un’esperienza senza pari.
E’ noto che oggi la musica oltre ad essere un’arte comunicativa di notoria importanza, dalle origini ataviche, è anche un’importante ed utile risorsa per poter studiare determinate aree del cervello. Come ci suggerisce Silvia Bencivelli in “Perché ci piace la musica”negli ultimi anni numerosi sono state le ricerche dedicate alla scoperta dell’area cerebrale implicata nell’attività musicale. A corroborare ciò ci sono gli studi del neuroscienziato Zatorre che definisce la musica <<pane per le neuroscienze>> perché anche grazie ad essa si può accedere allo studio della plasticità del cervello!
Non posso esimermi dal riconoscere di essere quasi totalmente ignara di cosa fosse la Musicoterapia e, soprattutto, quale funzione avesse; riconosco, tuttavia, che le scarse nozioni che avevo in merito lasciavano spazio a una visione quanto mai fallace della stessa.
Un setting formato da un grande tappeto verde, strumenti musicali, alcune sedie, il musicoterapista e poi loro…i PROTAGONISTI.
Con fatica descrivo in quest’articolo le caratteristiche patologiche dei partecipanti al fine di trasmettere in modo più chiaro quanto vissuto in quella realtà.
V. è una ragazzina dai colori mediterranei, con capelli folti e ricci…affetta da tetraparesi spastica; G. è un bambina esile, dagli occhioni vispi…con problemi motori e disturbo del linguaggio; R., un bambino alto, biondo…autistico.
Ognuno di questi bambini presenta gravi difficoltà nel linguaggio, ma nessuno di essi ha presentato problemi a comunicare soprattutto quando la comunicazione è stata relativa alla propria nonché altrui emotività.
Quanti indicano un bambino riducendolo a “quello in carrozzella”, “l’autistico”, “il cerebroleso”, come se questi bambini fossero soltanto una carrozzella, un ritardo, un deficit, una difficoltà, mi chiedo chi nella nostra società ha davvero dei limiti e…cosa si intende per limite?
Quando ognuno di noi viene posto in una situazione nuova, a contatto con persone sconosciute, non può evitare di palesare il suo disagio, la sua difficoltà e talvolta il suo scetticismo. Questo è ciò che è accaduto, o più opportunamente è ciò che “forse” è accaduto, potrebbe trattarsi anche di una mia mera personale interpretazione di quella situazione, a V., a G., a R. al primo incontro di Musicoterapia ed è ciò che è accaduto (sicuramente!) a me.
Mi chiedo se forse tale mia “lettura” non sia soltanto frutto di una proiezione sui bambini rispetto alle mie stesse difficoltà!
Non nascondo il mio profondo imbarazzo in quel primo incontro in cui ho avvertito un tale senso di inadeguatezza da farmi vivere con preoccupazione il mio ruolo in quel progetto.
Cercavo in ogni modo di conquistare lo sguardo del musicoterapista per essere guidata in ogni movimento, temevo fortemente che un mio errore potesse alterare lo svolgimento di quell’incontro e inficiarne gli esiti.
A conclusione del medesimo, non riuscii a frenare l’esigenza di chiedere consiglio a quest’ultimo circa le modalità più consone per rapportarmi ai bambini.
In realtà sentivo in me l’esigenza di essere biasimata in quanto incompetente!
Bhè il biasimo è arrivato, ma non era quello che mi aspettavo!
“L’errore più grande che si possa commettere è sopprimere le proprie emozioni…sii te stessa.”
Queste le parole di Leonardo Massa, il Musicoterapista in questione, violoncellista di fama internazionale formatosi come Magister del Modello Benenzon presso il Centro Musicoterapia Benenzon Italia – Torino.
Parole semplici, per molti facili da mettere in atto eppure dinnanzi a quella realtà, ahimè che fatica!
Trascorre una settimana, ripenso a quelle parole, ai bambini, ai loro gesti e a tutte le emozioni rivelate nel primo incontro (puntualizzo che nel gruppo in questione, tutto avviene nel non verbale!), … arriva di nuovo l’appuntamento del giovedì e m’impongo di stare attenta e così ancora una volta cado nella trappola dell’errore!
I bambini stavolta entrano con il sorriso sulle labbra, guardandosi intorno con aria di familiarità, cercano ognuno nell’altro interazione, eppure V., è ancora frenata nel lasciarsi andare; R., tende ancora ad isolarsi in uno spazio “figurato”; G., nasconde tra occhiate e sorrisetti la voglia di padroneggiare l’incontro.
Chissà che ancora una volta queste mie osservazioni non richiamino in causa la massima “l’osservatore modifica l’osservato.”
Questo di certo è quanto ho avvertito io stessa!
Molti sono stati i genitori e di questo e di altri gruppi di Musicoterapia, che incuriositi e soprattutto meravigliati allorquando a fine incontro venivano a prendere i loro pargoli e li scoprivano più felici rispetto a quando li avevano accompagnati, che hanno avanzato domande al fine di comprendere cosa accadesse in quel setting.
L’esigenza di soddisfare la loro curiosità, di certo proveniva dalla consapevolezza delle difficoltà vissute dai loro bambini e quindi… Come poteva un bambino con autismo interagire in un gruppo ancor più un gruppo non verbale e per assurdo rapportarsi a degli strumenti con i quali prima di allora non aveva avuto alcun tipo di approccio? E come una bambina cerebrolesa con marcata rigidità muscolare tale da impedirle la prensione di oggetti, poteva essere coinvolta e poteva AFFERRARE l’Ocean drums?
L’Ocean drums, i bonghi, i denti, i tamburi, lo xilofono, sono stati esplorati uno ad uno, secondo le loro esigenze.
La Musicoterapia non si pone l’obiettivo d’insegnare qualcosa a qualcuno ma di dare a questo qualcuno la possibilità di essere se stesso. E’ciò che ho capito nel corso degl’incontri e che soltanto dopo alcune settimane sono riuscita a mettere in atto a differenza dei protagonisti che, compreso il senso, hanno vissuto intensamente ognuna di quest’esperienze.
Gli strumenti erano solo un mezzo per esprimere un’emozione…il con-tatto con lo strumento era il con-tatto con le proprie emozioni e con l’emozioni del gruppo.
Il tutto impostato in una prospettiva dell’hic et nunc (qui ed ora), in cui ciò che è posto al centro è solo l’attuale, il momento vissuto insieme, con-diviso con chi era presente nel setting e soprattutto con–diviso con sé stessi.
La definizione attualmente più risonante di Musicoterapia definisce la stessa come una tecnica che utilizzando la musica come strumento terapeutico, promuove il benessere dell’intera persona e nel corpo e nella mente e nello spirito.
Rolando Omar Benenzon, musicista, medico – psichiatra argentino, massimo esperto mondiale di Musicoterapia definisce quest’ultima da un punto di visto terapeutico come: “… una disciplina paramedica che utilizza il suono, la musica e il movimento per provocare effetti regressivi e aprire canali di comunicazione con l’obiettivo di attivare, il loro tramite, il processo di socializzazione ed inserimento sociale.”
Inoltre, la Musicoterapia oltre ad essere impiegata nel campo del benessere, viene usata anche come sostegno riabilitativo, come prevenzione e come sostegno ai problemi di salute.
In un libro del celebre neurologo Oliver Sacks , “Musicofilia”, viene citato il caso di un uomo settantenne il quale in seguito ad un ictus, sviluppò una grave afasia espressiva.
I vani tentativi condotti da medici e dal suo logoterapeuta dopo due anni di trattamento portarono a dedurre che per costui non ci fosse più alcuna speranza di recuperare il linguaggio verbale.
Fu proprio durante un ricovero che lo stesso fu sentito cantare ma utilizzando soltanto due al massimo tre parole di una canzone da lui conosciuta. L’intonazione dell’uomo era ottima.
Fu quest’episodio a sollecitare l’iniziativa del medesimo ospedale a introdurre Samuel, il paziente, in sedute di musicoterapia.
Nel corso degl’incontri, Samuel cantava insieme alla musicoterapeuta e fu così che il linguaggio migliorò gradualmente in modo palesemente apprezzabile.
Samuel non riacquistò totalmente la sua facoltà di linguaggio, ma adesso era nuovamente in grado di rispondere alle domande che gli venivano poste anche se ricorreva a risposte concise.
Anche in questo caso, come nella realtà vissuta da me in prima persona, è stata fondamentale la relazione con il musicoterapeuta.
Oggi, di quell’esperienza, resta vivido il calderone colmo di emozioni che attimo per attimo ognuno di quei bambini ha arricchito pur senza poter parlare, senza camminare, senza guardare negli occhi…

Simona Caserio |  Pedagogista Clinico

R. O. Benenzon; Manuale di Musicoterapia; Ed. Borla; Roma; 1984; pagg. 8 – 21.
O. Sacks; MUSICOFILIA; Ed. Adelphi; Milano; 2007; p. 250.

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