ADHD e Farmacoterapia: una querelle ancora in fieri.

Ricorre di frequente nel linguaggio comune il termine iperattività ma, ciò che attualmente richiede attenzione, è la connotazione patologica che sempre più diffusamente, si lega a questo termine.
E’ verosimilmente noto che l’iperattività è una delle tre caratteristiche peculiari, insieme all’impulsività e all’inattentività, che connota la sindrome nota con l’acronimo ADHD (Attention Hyperactivity Deficit Disorder), tuttavia la stessa acquisisce con il passare degli anni sempre maggiore risonanza trasformandosi in una vera e propria epidemia soprattutto negli Stati Uniti!
A conferma di ciò è sufficiente riportare alcune indagini statistiche americane che palesano chiaramente quanto scritto: negli USA le diagnosi di ADHD sono passate da 150 mila nel 1970, a 4 milioni e 500 mila nel 1997.
Le ricerche degli scienziati italiani stimano che il Disturbo di Attenzione e Iperattività è una sindrome che attualmente colpisce circa il 5% della popolazione infantile presentando traccia in percentuali ridotte anche nel mondo adulto: si calcola che mediamente permane nell’80% degli adolescenti e nel 50% degli adulti.
Per fronteggiare queste crescenti stime, sovente si affianca alla terapia comportamentale, la terapia farmacologica basata principalmente su due molecole: il Metilfenidato e l’ Atomoxetina .
Il Metilfenidato, prodotto dalla Novartis sotto il nome di Ritalin è classificato come stupefacente appartenente alla stessa classe delle anfetamine, cocaina, barbiturici ed oppiacei.
La somministrazione del medesimo, infatti, deve avvenire previo consenso dei genitori; deve essere preceduta da un esame medico generale per verificare le condizioni di salute del bambino e da un’anamnesi accurata che attesti la presenza o meno di convulsioni o epilessia; si accerta, inoltre, che le condizioni cardiache siano favorevoli al trattamento.
L’Atomoxetina, conosciuta in commercio con il nome di Strattera, è stato registrato sul mercato contemporaneamente in tutti i paesi della Comunità Europea ma, la FDA (Food and Drug Admistration) ha richiamato rigidamente l’attenzione dei medici che prescrivono lo stesso, sollecitandoli ad approfondire con i genitori i possibili effetti collaterali del farmaco e, raccomandando quest’ultimi, affinché siano tempestivi nel segnalare peculiarità manifestate nel bambino cui il farmaco viene somministrato.
La querelle circa la psicofarmacologia pediatrica è tuttora in fieri, ma non va sottaciuta l’importanza dei medesimi farmaci nei casi in cui ci si trova a fronteggiare casi severi di Iperattività.
Il prof. Russel Barkley, massimo esperto mondiale del disturbo in questione, ha sovente ribadito l’efficacia degli stessi puntualizzando peraltro,che gli psicostimolanti pediatrici, sono “i farmaci meglio studiati di qualunque altro farmaco prescritto per i bambini.”
Va aggiunto, inoltre, che anche le Linee Guida della SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza) sottolineano l’incisività del trattamento farmacologico, mettendo in luce i miglioramenti che il medesimo può offrire: i bambini con ADHD che assumono gli psicostimolanti, secondo le stime, migliorano le risposte ai test di attenzione, di vigilanza, di apprendimento visivo e verbale e di memoria a breve termine.
Da quanto emerge dalle medesime Linee Guida, i farmaci in questione, non sarebbero portatori di preoccupanti effetti collaterali, quest’ultimi viceversa, sarebbero circoscritti alla sfera dell’insonnia, dell’inappetenza e di lievi disturbi gastrici risolvibili assumendo il farmaco dopo il pranzo.
Se da un lato vi sono coloro che estremizzando, sottolineano incisivamente la pericolosità degli psicostimolanti palesando in tal modo la necessità di ritirare i medesimi dal commercio, dall’altro troviamo chi, ancora una volta a danno dei bambini, usa i medesimi per interessi commerciali: il Metilfenidato, infatti, è uno dei maggiori affari delle case farmaceutiche americane, tant’è che la prescrizione dello stesso, secondo le stime della DEA, organismo incaricato della lotta contro la droga, è aumentato del 600%, dando origine ad un giro d’affari di circa due miliardi di dollari.
Sembra d’uopo, a questo punto, mettere in atto la locuzione latina “in medio stat virtus”…l’intervento farmacologico se usato con criterio, dunque in special modo nei casi severi di ADHD e, se limitato ai periodi scolastici, è di certo importante ma, lo stesso non deve essere considerato una panacea. E’ fondamentale affiancare alla terapia farmacologica l’intervento comportamentale di tipo psicoeducativo, che consenta al bambino di imparare a gestire (per quanto sia possibile!), le proprie azioni, le emozioni e, soprattutto, lo aiutino a relazionarsi con la realtà esterna.
L’intervento psicoeducativo si pone l’obiettivo di attuare un mutamento comportamentale sul bambino modificando l’ambiente fisico e sociale in cui lo stesso si relaziona.
A tal fine è fondamentale istruire i genitori circa le modalità più consone per rapportarsi al proprio figlio e, soprattutto, è necessario che gli stessi dispongano di necessarie tecniche che opportunamente applicate, incoraggino i comportamenti funzionali (rinforzo positivo) e, boccino i comportamenti disfunzionali ( punizione ).
Al fine di utilizzare al meglio tali interventi è d’uopo usare taluni necessari accorgimenti: è funzionale affiancare al rinforzo verbale un premio materiale per rendere più visibili le azioni positive; i premi devono variare nel tempo al fine di dare agli stessi sempre un valore apprezzabile; è importante che nella scelta dei premi ci si attenga ai gusti del bambino; bisogna, infine, tener conto che con i bambini e, in special modo, con i bambini ADHD, è opportuno dare i premi nell’immediato e non procrastinarli.
Anche per quanto riguarda le punizioni è necessario stare attenti nelle modalità di espletamento delle stesse in quanto, se non opportunamente applicate, possono alimentare i sentimenti di bassa autostima che di frequente aleggiano in questi bambini. E’, dunque, consigliabile non usare toni minacciosi e/o violenti, è sufficiente precludere al bambino la possibilità di impegnarsi in attività per lui piacevoli come ad esempio stare al computer, guardare la televisione, etc…
Sembra palese che l’approccio farmacologico coadiuvato dall’intervento psicoeducativo può offrire risultati molto più apprezzabili rispetto ad ogni intervento applicato isolatamente.
Dalle statistiche riportate sembra dunque chiaro che la diatriba circa l’uso degli psicostimolanti pediatrici sia ancora in fieri, acuita soprattutto dalle pedanti giustificazioni estremiste di coloro che considerano il farmaco una forma di deresponsabilizzazione dagl’impegni genitoriali.
Nel parlare dei genitori e delle loro scelte circa le modalità più consone secondo il proprio punto di vista, di fronteggiare la problematica del proprio figlio, non va messa in secondo piano la sofferenza del bambino spesso caratterizzato da una peculiare sensibilità.
Queste caratteristiche devono coadiuvare la necessità di non concludere diagnosi e dunque prescrizioni farmacologiche affrettate e, soprattutto, devono essere valido presupposto nella stesura di un progetto educativo – comportamentale che rispetti le caratteristiche specifiche del bambino preso in esame, escludendo qualsiasi intervento che non sia coerente alla problematica e, nel contempo, alla personalità del soggetto.

Simona Caserio | Pedagogista Clinico

R. D’Errico, E.Aiello; Vorrei Scappare in un Deserto e Gridare; Ed. G. De Nicola; 2001; p. 101
SINPIA; Linee Guida per il DDAI e per i DSA; Ed. Erickson; 2006; p. 39 SINPIA; Linee…; p. 32  ]SINPIA; Linee…; p. 32
Ibidem

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